martedì 26 marzo 2024

Recensione "Home Team" - Alexandra Rose

 

TRAMA

Drew Miller ha sempre voluto frequentare la Fallwood University, un college di Division 1, grazie a una borsa di studio sportiva. 
Il Basket è infatti una delle sue passioni.
Quando scopre l'identità del suo compagno di stanza, pensa che si tratti di una coincidenza, un assurdo caso di omonimia.
Perché non può essere davvero quel Greyson Quinn.
Il suo ex migliore amico, la persona che odia più di chiunque altro al mondo.

Greyson Quinn desidera giocare nell'NBA.
La borsa di studio alla Fallwood University gli permetterà di competere ad alti livelli nel torneo universitario e, quindi, di essere a un passo dal suo sogno.
Solo che...non aveva previsto lui.
Drew Miller.
Il suo ex migliore amico, la persona che ha perso due anni prima.
Alleati sul campo, ma nemici fuori, il loro sarà uno scontro all'ultimo canestro, dove passato e presente si mescolano e la posta in gioco sono i sentimenti.
Sarà possibile soffocarli oppure ne saranno travolti?


RECENSIONE

Ehilà lettori! 
Benvenuti o bentornati nell'angolo libroso di Mandragora e Caffè
Dopo quelli che mi sembrano eoni, torno finalmente sul blog con una nuova veste, e soprattutto con una nuova recensione! 
E che recensione! 
Perché il libro di cui vi voglio parlare oggi è sicuramente una lettura che esce totalmente dalla mia comfort zone, e che probabilmente, sono sincera, fino a qualche tempo fa non avrei mai preso in mano. Spoiler: avrei fatto un enorme errore, e ora vi spiego il perché. 

Home Team di Alexandra Rose è uno sport romance (premetto che io non ho MAI letto sport romance, non che me ne ricordi almeno) ambientato in un college americano, che ha come protagonisti due ex-amici, diventati acerrimi nemici, e che alla fine si riconcilieranno non senza prima affrontare una massiccia dose di difficoltà. 
La vicenda si sviluppa su due filoni temporali, ovvero il presente, dove i due ragazzi si detestano già in seguito alla loro separazione ma si trovano a dover convivere in modo forzato nella stanza del college che hanno scelto entrambi di frequentare, e il passato, dove l'autrice ci racconta cosa ha provocato il loro brusco e violento allontanamento, nel periodo prima e durante l'adolescenza.

Drew è un po' come molti di noi: non gli piace stare in mezzo alla gente, non gli piace molto fare amicizia, sta sempre sulle sue, preferisce la compagnia degli animali a quella delle persone, ed è anche parecchio diffidente, aspetto che si può anche giustificare visto che il più delle volte viene isolato dai suoi coetanei perché etichettato come lo strambo della situazione. 
Ed è gay dichiarato. 
È consapevole del fatto che gli piacciono gli uomini e non si dà tanta pena nel nasconderlo, perché è completamente in pace con sé stesso. O almeno questo è ciò che noi vediamo nel presente, perché nel passato il coming out non è stato proprio all'acqua di rose. 
Il suo migliore amico Greyson non l'ha infatti accettato. 
Gli risulta strano che Drew non gliel'abbia mai confidato. 
Gli fa male che Drew gliel'abbia detto in un momento totalmente sbagliato. 
E in quel momento sbagliato, Grey non riesce ad accettare il fatto che il coming out di Drew l'abbia in qualche modo risvegliato
Perché Grey è confuso
Combatte contro sé stesso e contro i suoi sentimenti. 
Contro il suo stesso corpo. 
E negli anni continua a reprimere quel ronzio fastidioso di sottofondo che torna a tormentarlo senza sosta, nonostante lui tenti di soffocarlo. 

Grey è tutto il contrario di Drew. 
Se Drew, coi suoi capelli neri e gli occhi come due pozzi scuri, rispecchia l'archetipo della luna, Greyson è un sole accecante. 
L'incarnazione del bel ragazzo biondo, allenato e con due occhi chiari che tolgono il fiato. L'incarnazione dell'espansività, del voler stare in compagnia, del voler per forza fare andare bene ogni cosa, anche quando il mondo sembra precipitare sopra la sua testa. 
Drew ama la musica e il basket.
A Grey il basket scorre nelle vene. 
Drew ha sempre battute caustiche e sarcastiche pronte sulla punta della lingua; Greyson ha sempre una parola di conforto per chi non trova pace. 
E a parere mio il contrasto tra queste due personalità si nota tantissimo grazie alla bravura dell'autrice nel saperle delineare, soprattutto nei momenti in cui Drew e Grey si scontrano: è lì che escono tutte le loro diversità e i loro punti in comune.

Tutti i personaggi di questo libro sono caratterizzati bene, possiedono uno spessore importante, che va oltre la semplice pagina di carta, che ti entra dentro e ti permette di calarti nei loro panni e provare e sentire ciò che loro stessi provano e sentono. 
E non sono solo i protagonisti della vicenda ad essere raccontati in modo profondo ed incisivo, ma anche le tematiche di una certa importanza in cui ci imbattiamo nel corso della lettura. 
Alexandra ha saputo gestire con delicatezza, ma soprattutto senza cadere nel banale, temi ostici come possono essere appunto la scoperta della propria sessualità e la confusione e la frustrazione che possono derivare da essa, il coraggio di fare coming out , beccandosi tutte le conseguenze, anche le più dolorose, del caso, il tabù dell'omosessualità in uno sport come può essere il basket, la sofferenza del trovarsi invischiati in un amore non corrisposto, e la fine di un'amicizia su cui poi si dovrà nuovamente ricostruire un rapporto di fiducia. 
Si nota inoltre che c'è della ricerca dietro al lato che riguarda lo sport della pallacanestro e delle sue regole: questo è uno sport romance dove lo sport mantiene una posizione di spicco e non fa solo da contorno alla storia d'amore. 
Troviamo termini tecnici propri di questa disciplina, nonché una buona dose di nozioni che riguardano l'NBA, quindi è palese che l'autrice abbia compiuto delle ricerche minuziose, informandosi per bene prima di buttarsi sulla stesura del testo.


Una nota di merito, oltre all'aspetto appena menzionato, va sicuramente allo stile di scrittura scorrevole, semplice e diretto, ma non per questo privo di quella scintilla che scatena le emozioni nel lettore; il gergo utilizzato è quello tipico dei ragazzi del college, alle volte non proprio forbito, ma che nonostante tutto non scade nello squallido e nel volgare. 
Home Team è stata una scoperta davvero interessante per me, sotto tantissimi punti di vista. 
Era da molto tempo che non leggevo un libro che fosse in grado di catturare la mia attenzione e di farmi venire continuamente voglia di proseguire con la storia per sapere come si sarebbe sviluppata: nonostante siano circa 600 pagine la lettura procede liscia come l'olio, senza intoppi e senza difficoltà, appunto perché Drew e Grey sono accattivanti, magnetici, e risulta difficoltoso staccarsi da loro! 

Le emozioni che questo libro mi ha regalato sono state molteplici e dalle mille sfumature. 
Ci sono stati momenti dove avrei voluto prendere a sberle Drew per il suo essere così duro e stronzo con Grey, e dove avrei voluto frustare Grey per il suo voler risultare sempre così fottutamente perfetto, anche nei momenti peggiori della storia, anche quando ogni cosa gli crollava addosso ed era impossibile ricomporne i pezzi. 
Questi due ragazzi sono riusciti a farmi commuovere, mi hanno trasmesso una tenerezza disarmante, mi hanno fatta arrabbiare, mi hanno fatta riflettere, mi hanno resa orgogliosa del loro percorso travagliato, della loro crescita personale e mi hanno fatta innamorare del loro amore, intenso, dirompente e alle volte doloroso. 

Se è tutto questo ciò che cercate in uno sport romance MM (compreso lo spicy, che non guasta mai e che qui fa alzare notevolmente la temperatura uff) , allora Home Team è proprio ciò che fa al caso vostro!


PS. Attualmente l'autrice ha iniziato a pubblicare su Wattpad uno spin-off riguardante due personaggi che si trovano su Home Team! Se vi siete affezionati o vi affezionerete a Drew e Greyson, sono certa che anche questa ship non vi deluderà!

A presto!

Chiara
 




lunedì 29 maggio 2023

Review Party Dark Wings III - Ali Spezzate - Krisha Skies

 
TRAMA

Nel terzo capitolo del Ciclo delle Ali Oscure, il conflitto tra umani dei Paesi federati del Patto Meridionale e gli Alati di Azra prosegue senza sosta, fino all'invasione della città di Cartago, dove la giovane umana Lyan Alba si è rifugiata per combattere la Lungimiranza. Lì, durante il periodo di stallo che segue l'occupazione, ritrova diverse persone amiche, ma anche coloro da cui si stava nascondendo. Inoltre, la comparsa del Falco Nero le complica l'esistenza, costringendola a prendere una decisione dolorosa e sofferta. La sua è una lotta interiore tra istinto di sopravvivenza e abbandono alle emozioni, e la scelta che ha di fronte è difficilissima: votarsi all'amore, scendendo a patti con il male che la circonda, o fuggire da esso, destinandosi a una vita di solitudine? Il contrasto tra ciò che si vuole fare e quel che si deve fare è ingestibile: Lyan non vorrebbe vivere nei rimpianti per la rinuncia dettata da un senso di giustizia, ma neppure convivere con il rimorso per il dolore che provocherebbe agli innocenti, cedendo ai ricatti del nemico. Come se tutto questo non bastasse, si troverà a camminare sulla linea di confine tra due schieramenti di Alati: le Ali di Fuoco, a cui appartiene Azalel, il suo amore del presente, e le Ali Spezzate, che andranno a risvegliare sentimenti ormai sopiti.

RECENSIONE

"Perché di una cosa sono sicuro: se ti perdessi, io morirei con te."

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati nel mio angolo di carta ed inchiostro!
Oggi vi parlo di un finale di trilogia col botto, un volume conclusivo di una serie che ho amato sin dagli albori e che mi ha conquistata pagina dopo pagina: sto parlando di Dark Wings III - Ali Spezzate, di Krisha Skies, che ringrazio di cuore per la fiducia, assieme alla casa editrice Horti di Giano, che mi ha fornito le copie digitali in anteprima di tutti e tre i volumi.
 
Da dove posso cominciare?
Sapete perfettamente l'effetto che i finali di saga hanno su di me, e quanto io mi affezioni ai personaggi delle storie che mi sono piaciute di più, soprattutto se scritte ed argomentate bene.
Il caso di Ali Spezzate è proprio questo, una vicenda narrata in modo talmente avvincente che trascina il lettore in un vortice di emozioni contrastanti.
Non mi dilungherò più di tanto sulle scene di questo terzo ed ultimo volume, anche perché potrei inciampare il qualche spoiler, dunque mi limiterò a dirvi ciò che questa lettura mi ha trasmesso.
 
Cartago è ancora sotto assedio, le rivolte intestine animano le strade della città, Lyan Alba, la protagonista, si trova al quartiere generale delle Ali di Fuoco, assieme ad Azalel, il suo amante alato, col quale vive una storia travagliata nascosta agli occhi degli altri umani, che in qualche modo, seppur velatamente, la considerano al pari di una spia degli Alati, vista la sua propensione allo stare con uno di loro.
L'inizio di questo volume si presenta piuttosto lento, tra l'avvicendarsi della storia tra i due protagonisti e la descrizione dell'attuale situazione che aleggia sulle diverse città.
Il generale Yeratel, capo delle Ali di fuoco, è distante, e quindi i due ragazzi possono vivere il loro amore in modo “libero” , per il contesto che lo permette certo, senza temere che l'uomo metta loro i bastoni tra le ruote.
Ma l'idillio dura poco, ed è proprio quando tornerà il generale che la vicenda inizia a vivacizzarsi, e ad esporre i primi colpi di scena, colpi di scena che, vi avverto, lasceranno il lettore piuttosto basito in alcuni punti, dato che probabilmente gli indizi sui volumi precedenti c'erano sicuramente, ma risulteranno essere solo le briciole di un progetto più grande, che verrà rivelato appunto in questo terzo libro.
Veniamo a scoprire qualcosa di più sulla vita di Azalel, il controverso protagonista maschile, che assieme a Lyan, si nota avere un cambiamento radicale di personalità rispetto agli altri volumi, nonostante rimanga ancora piuttosto incomprensibile a volte, impenetrabile, e apparentemente impassibile, anche se sotto sotto cela una dolcezza e una tenerezza che disarmano.
 
Di contro, anche Lyan l'ho trovata cambiata, più caparbia, più mite di carattere ( a parte le rare esplosioni di rabbia e frustrazione), e volenterosa di far andare bene le cose tra lei e Azalel, senza doversi più nascondere dal mondo, più speranzosa, con il desiderio di costruirsi un futuro finalmente vivibile, nonostante il potere della Lungimiranza continui a tenerla sotto scacco.
 
Vi anticipo già che alcune decisioni dei nostri protagonisti vi manderanno in bestia, io stessa ho trovato faticoso alle volte entrare in empatia con Azalel mentre faceva cose o ne pensava altre, perché ritenevo stupido da parte sua un comportamento del genere, eppure non riuscirete ad odiarlo in modo viscerale, perché Azalel apparirà come un personaggio grigio, che cioè non si schiera dalla parte di nessuno, se non dalla sua e di quella della sua amata.
Vi riuscirà difficoltoso in alcuni momenti capirlo e comprenderlo, così come vi succederà la stessa cosa con Lyan e i suoi colpi di testa, ma di contro non riuscirete a fare a meno di volergli bene, di provare affetto e tenerezza, quasi pena, per lui e il suo passato, che ancora incide nel presente.
 
Se cercate lo spicy, questo libro non fa per voi, e per fortuna!, dico io, perché l' "iper eroticizzazione" di un'opera, a parere mio, sta davvero stancando, cadendo in stereotipi banali e cringe, di conseguenza se volete del buon, sano romance, lo troverete, più preponderante rispetto agli altri due volumi, in quanto l'autrice qui si concentra proprio sulla storia d'amore e il suo sviluppo, e perché no? I nostri protagonisti avranno anche dei momenti di intimità, ma descritti con talmente tanta delicatezza e dolcezza, che persino io non essendo amante del romance, ho davvero apprezzato.
 
Come sempre la penna precisa e minuziosa di Krisha non si smentisce, riconfermando uno stile pulito, descrittivo al punto giusto senza mai stancare e scivolare nel prolisso, farcito di dialoghi credibili e veritieri, non quella solfa di frasi fatte, trite e ritrite, nonché una trama sviluppata molto bene e che non si risparmia plot twist interessanti e un finale che lascia il lettore soddisfatto, dopo un'enorme lago di sofferenza, che non guasta mai.
 
Una degna conclusione per una delle saghe fantasy più coinvolgenti, toccanti e romantiche del panorama italiano.

LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂🍂, 5 \ 🍂🍂🍂🍂🍂


venerdì 12 maggio 2023

Recensione "American Serial Killers" - Peter Vronsky


TRAMA

I fan di Mindhunter e della docu-serie Dahmer divoreranno le storie agghiaccianti di questi serial killer della “Golden Age” americana, l’età dell’oro degli assassini seriali (1950-2000).

Con libri come Serial Killers, Genesi mostruose e Sons of Cain, Peter Vronsky si è affermato come il massimo esperto di storia dei serial killer. In questo primo autorevole saggio sulla “Golden Age” dei serial killer americani, gli anni in cui il numero di assassini seriali e la conta dei corpi esplosero, Vronsky racconta le storie degli omicidi più insoliti e importanti dagli anni ‘50 all’inizio del ventunesimo secolo.

American Serial Killers offre ai veri appassionati di true-crime ciò che più che desiderano, passando dalle storie degli assassini più famosi (Ed Kemper, Jeffrey Dahmer) a quelle dei casi meno noti (Melvin Rees, Harvey Glatman).

Un saggio storico e sociologico avvincente e approfondito. Perfetto per i fan del true-crime dallo stomaco forte.

RECENSIONE 

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati sul mio blog!
Torno questo Venerdì con una recensione molto particolare, di un saggio uscito proprio oggi, intitolato American Serial Killers di Peter Vronsky, per Nua edizioni, che ringrazio per la copia digitale in omaggio.
 
Partiamo dal fatto che dello stesso autore avevo già letto sempre per Nua “Genesi mostruose”, un saggio criminale e molto dettagliato sulle serial killer donne più famose della storia, nonché le più cruente.
Il paragone viene spontaneo nella lettura di questi due libri, dato che il serial killer donna tende a pianificare per bene i suoi delitti, prendendosi la sua buona dose di tempo per attuarli e poterli mettere in pratica, mentre da ciò che ho potuto appurare dal testo di cui vi parlerò oggi, il serial killer uomo si fa guidare quasi ciecamente dall'istinto, dalla pulsione irrazionale, e quindi agisce in modo molto più fulmineo, meno calcolato, più "bestiale".
 
Il saggio di Vronsky analizza passo passo ogni caratteristica, sia fisica che mentale e psicologica, che riconduce allo stereotipo tipico del serial killer, una bestia assetata di sangue che trae piacere dall'uccidere le persone, nonché quello più atipico di brav'uomo apparentemente tranquillo che conduce una vita quasi monotona tra lavoro\studio e casa, ma che nasconde in realtà una psiche danneggiata, caratterizzata da pensieri violenti e dannosi nei confronti degli altri e pulsioni che a malapena riesce a controllare, e che trovano sfogo appunto nell'omicidio.
American Serial Killers è un vero e proprio excursus negli abissi della mente umana.
È un po' come scendere lungo una scalinata ripida di cui non si vedono gli ultimi gradini, tanta è l'oscurità che la cela ai nostri occhi, e l'unica fonte luminosa è una lampadina mezza rotta sopra la nostra testa, proprio all'inizio di quella scalinata: semmai la luce si spegnesse, piomberemmo nelle tenebre più assolute e nell'angoscia totale.
 
Vronsky riesce con maestria a snocciolare ogni argomento con una sorta di padronanza orrorifica davvero impressionante, suscitando nel lettore una sensazione di ribrezzo certo, ma anche quella strana fascinazione oscura che l'essere umano nutre per le cose cupe, innominabili, blasfeme, come se in qualche modo ci mettesse di fronte al fatto che in realtà tutti hanno certi tipi di istinti, solo che qualcuno più di altri riesce ad avvalersi della facoltà dell'inibizione.
Ed è proprio questo fattore mancante, assieme ad altri di livello sociale, etnico, etico e morale, nonché fisico e psicologico, a far sì che uno strano meccanismo nel cervello del serial killer scatti come una molla ed inneschi una catena di anomalie irrazionali che sfociano in atti aberranti.
 
Nell'antichità c'era la superstizione che chi commetteva omicidi in serie fosse in realtà posseduto dal demonio o addirittura fosse esso stesso una creatura soprannaturale, un licantropo (per avere una risposta alle aggressioni più violente ed efferate si puntava a dimostrare che l'essere umano in questione fosse in realtà una bestia, un animale domato dai più bassi istinti) o un vampiro, che si eccitava nell'uccidere le sue vittime allo scopo di berne il sangue o semplicemente eccitarsi alla vista.
Molto più tardi, invece, si è giunti alla conclusione che il comune essere umano è portato all'assassinio dei suoi simili semplicemente per istinti che si orientano al piano sessuale (per la maggioranza) o perché il loro fisico lo ritiene necessario, perché si tratta di qualcosa di cui nemmeno loro hanno il controllo, e che di conseguenza diviene patologico.
 
Il profilo psicologico del serial killer è stato ed è ancora oggetto di studio soprattutto da parte di enti investigativi di una certa importanza come l'FBI, che si avvale dei famosi profiler per tracciare appunto quello che dovrebbe essere uno schizzo sulla psicologia dell'individuo assassino, e l'autore qui ci tiene particolarmente a parlare del fenomeno del Mindhunting, ossia la curiosità e la capacità di sondare la mente umana per capire cosa provochi in un uomo o una donna la necessità compulsiva di aggredire violentemente un altro essere umano, capendo se dipende da un fattore interno, e quindi fisico e biologico, o un fattore esterno, tipo la società in cui tale persona è cresciuta, e soprattutto il COME, in che contesto familiare, scolastico o lavorativo ecc.
 
Tutti questi elementi vengono affiancati quindi all'elenco dei serial killer più famosi (e non) della storia americana, e alle loro accurate biografie, che ci concentrano soprattutto sul loro modus operandi di assassini seriali nel corso degli anni in cui hanno raggiunto il culmine della loro “ carriera” di killer spietati.
Si nota perfettamente la differenza sostanziale che troviamo agli albori della comparsa dei primi omicidi seriali (a cui non si dava tutta questa importanza perché si credeva fossero casi isolati accaduti in modo fortuito nello stesso paese/zona, apparentemente senza alcun collegamento), in confronto agli anni in cui fanno la loro comparsa FBI, profiler e studiosi di criminologia: c'è un'evoluzione piuttosto corposa dell' omicida, in quanto esso stesso è il soggetto che subisce cambiamenti sociali/psicologici che influenzano il suo modo di uccidere e di scegliere le proprie vittime.

Ve lo dico subito: non è una lettura per tutti.
Mi è capitato più volte, mentre leggevo il modus operandi dei più efferati assassini, di ritrovarmi con lo stomaco vagamente ribaltato, perché non è facile leggere di storie realmente accadute in cui si consumano gli atti più osceni e deviati di cui un essere umano può essere capace, soprattutto se orientati su individui fragili ed inconsapevoli come i bambini.
Vronsky racconta in modo spietatamente dettagliato come alcuni assassini seriali preferissero trattare le loro vittime, facendo particolarmente attenzione ad evidenziare lo stato sociale e psicologico in cui questi uomini versavano, nonché alla firma che caratterizzava il delitto: quasi ogni serial killer aveva ben chiaro nella sua mente quale dovesse essere il dettaglio sulla scena del crimine che facesse dire alla polizia: “Ecco! Questo è proprio lui!".

Inutile dirvi che nell'enorme database di nomi e dati che l'autore ha deciso di elencare per discutere dei serial killer più spietati e conosciuti della storia americana, ed anche di quelli che sono passati in sordina ma non per questo sono stati meno cruenti, troviamo il nome di Jeffrey Dahmer, ribattezzato Il mostro di Milwaukee, con tendenze cannibali, necrofile e chi più ne ha più ne metta, al quale è stata anche dedicata una serie tv molto recente su Netflix che ha anche ottenuto un discreto successo, Ed Gein, colui che sembra aver ispirato il film Non aprite quella porta e Il silenzio degli innocenti, oppure l'affascinante e carismatico Ted Bundy, che conquistava col suo sorriso da bravo ragazzo, ed uccideva con una meticolosità quasi maniacale, e ancora killer di cui tutt'oggi non conosciamo la vera identità come il killer dello zodiaco o lo strangolatore di Boston, e altri assassini che hanno lasciato dietro di sé una scia di cadaveri davvero, davvero folle e sorprendente.

Questo saggio merita di trovarsi sugli scaffali degli amanti più affiatati del true crime, in quanto si presenta completo, ben farcito di informazioni, dati, fonti e documenti argomentati in modo semplice e schietto, diretto, inoltre si occupa e dedica spazio anche al profilo psicologico del serial killer come essere umano con una famiglia e una vita dietro le spalle, e quindi con un passato che ad un certo punto diviene teatro di quel qualcosa che ha fatto scattare la pulsione oscura dell'omicidio, e l'autore si addentra quindi nei meandri della mente umana per comprendere e capire assieme al lettore cosa sia andato storto in quel meccanismo che ad un tratto si blocca, cambiando la propria traiettoria.

Se non siete facilmente impressionabili, se avete lo stomaco di ferro e il cervello pronto ad assorbire i dettagli più macabri e sconvolgenti di un omicidio seriale, allora American Serial Killers deve stare assolutamente tra le vostre mani!
Esce proprio oggi, segnatevelo!

LA MIA VALUTAZIONE

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martedì 2 maggio 2023

Recensione "La voce della quercia" - Andrew Michael Hurley

 
TRAMA

Richard e Juliette devono affrontare il dolore più grande che due genitori possano provare: la morte improvvisa di Ewan, cinque anni. Starve Acre, la loro casa al confine con la brughiera, da cuore di una nuova famiglia è diventata un nodo di dolorosi ricordi. Juliette è convinta che Ewan sia ancora con loro, in qualche forma, e cerca l’aiuto di un gruppo di occultisti per parlare con lui. Richard invece si concentra sul campo di fronte a casa, il campo dove Ewan amava giocare da solo, e avvia gli scavi alla ricerca dei resti di una quercia antica e maledetta. Che nesso c’è fra il passato remoto di quel luogo, teatro di forme di sommaria e brutale giustizia, la strana malattia che si è portata via Ewan, e la sua propensione alla violenza? La terra rivoltata darà forse le sue risposte, ma non saranno quelle che ci si aspetta. Una storia gotica, che viaggia tra leggende locali e un presente attraversato dall’orrore, con un finale da mozzare il fiato.

RECENSIONE

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati alla Biblioteca Stregata!
Oggi mi prendo qualche minuto per parlarvi di un libro assai particolare, disturbante a tratti oserei dire, ma anche vagamente malinconico e d'impronta gotica.
Non farò spoiler, ovviamente, anche perché dopo una prima lettura non si comprende molto bene il finale, che, ve lo anticipo, rimane tutt'ora nebuloso anche per me, nonostante sia davvero una conclusione che lascia a bocca aperta, tanto è inaspettata e...bizzarra?

Il titolo di questo libro di circa 250 pagine è La voce della Quercia, di Andrew Michael Hurley, ed è edito Bompiani.
La vicenda si snoda attorno alla storia di Richard e Juliette, una normalissima coppia di marito e moglie, che si trasferisce in un vecchio maniero nella brughiera inglese, ereditato dal padre di Richard, dove aleggiano strane leggende vagamente inquietanti su un'antica quercia che nemmeno sembra esistere.
Per questi motivi, e per tanti altri, Richard è restìo ad abitare la vecchia casa di famiglia, ma Juliette riesce a convincerlo, ed insieme al figlioletto Ewan, vi si trasferiscono, entrando così a far parte di una piccola comunità dove tutti conoscono tutti, e dove le giornate sembrano trascorrere al lento scandire della stagione invernale.

Quello che capita alla coppia di sposini in seguito, è una tragedia tremenda: il piccolo Ewan diviene vittima di una malattia che lo condurrà inevitabilmente verso la morte, facendo catapultare il lettore in una sorta di bolla statica e grigia in cui come tematica predominante ci saranno il lutto e la complicata elaborazione di esso.
Secondo la psicologia, l'elaborazione del lutto viene divisa sostanzialmente in cinque fasi principali, ovvero il rifiuto, la negazione del fatto che sia successo veramente e quindi l'incapacità di "digerire" ciò che è accaduto, la rabbia, associata spesso ad un senso di colpa alle volte ingiustificato, il patteggiamento, una sorta di stasi momentanea in cui chi ha subìto il lutto tenta di riprendere in mano la propria vita, vegetando in una specie di finta bolla di normalità, la depressione, cioè la fase in cui ci si rende conto effettivamente che la persona persa non tornerà più e piano piano si inizia ad elaborare tale evenienza, fino ad arrivare alla quinta ed ultima fase, ovvero l'accettazione, quel momento in cui il ricordo e il dolore del lutto rimangono in qualche modo latenti, ma non sono più d'ostacolo al normale svolgimento della vita quotidiana.

Ecco, mentre Richard è già a "buon punto" nella fase depressiva, e cerca di riprendere in mano le redini della propria esistenza post-lutto, iniziando di nuovo a lavorare e tentando di trovarsi dei nuovi hobby che lo aiutino a non rimuginare su ciò che gli è successo, Juliette sembra cristallizzata sulla prima fase, quella del rifiuto.
La donna non accetta che il figlioletto sia morto, e anzi, crede che il piccoletto sia ancora ben presente tra le mura dell'enorme maniero in cui vive, e che stia cercando in qualche modo di mettersi in contatto con lei, di conseguenza si affiderà ad un gruppo di occultisti per tentare di capire se Ewan sia ancora lì  anche dopo la morte.

Dalle prime pagine sembra di essere al cospetto di una lettura "normale", dove a parte qualche accenno al folklore e alle leggende locali che vorrebbero al centro di vicende nefaste una vecchia quercia di cui rimangono solo le radici annerite, di "paranormale" non troviamo nulla, se non la routine straziante di una coppia che ha perso il proprio, unico figlio, anche se si nota nell'aria una vena vagamente inquietante, quel nonsoche cupo e scabroso che un po' ci fa rizzare i peli sulla nuca, senza tuttavia dire o mostrare esplicitamente ciò che in qualche modo "infesta" le vite dei protagonisti (sicuramente un punto a favore va al comportamento anomalo del figlioletto, che lascia presagire ciò che succederà o potrebbe succedere in seguito).

È proprio dalla metà in poi che scatta qualcosa, un meccanismo oscuro che rende la vicenda più veloce, più precipitosa, più mozzafiato, con un'impronta più soprannaturale ed anche vagamente weird, per la presenza di scene al limite del bizzarro e del paradossale, finché non si arriva come dopo una corsa forsennata, alla fine, che di chiaro ha ben poco, ma che nonostante tutto mi ha lasciata di stucco.
Di stucco perché di fatto non ho capito bene cosa sia successo, e ancora continuo a non capirlo, dato che sembra quasi che l'autore abbia voluto concludere così la storia in modo da lasciare al proprio lettore una sua personale libera interpretazione.
Ammetto che questi finali nebulosi mi irritano, non tanto perché lasciano chi legge con la testa piena di domande e dubbi, quanto perché mandano in fumo l'intera trama, riducendola ad un ammasso di scene che alla fine non sono servite a nulla.
Perché scrivere un libro di un certo tipo se poi lo finisci con un cliffhanger che annulla qualsiasi teoria che il lettore si è creato all'inizio, teoria che tu hai contribuito a far creare attraverso l'utilizzo di alcune informazioni precise?
Ad ogni modo, non mi sento di bocciare del tutto questa lettura, perché se tolgo il finale, il resto mi ha intrattenuta in modo costante e crescente, lo stile dell'autore è asciutto ed essenziale, e questo forse è un punto di forza che permette a chi legge di non annoiarsi e anzi, di aver voglia di procedere per vedere dove la vicenda andrà a parare.

I personaggi sono delineati abbastanza bene, anche se l'autore si è concentrato maggiormente su ciò che l'ambiente circostante trasmette, sul voler evidenziare quanto sia cupa e macabra la casa in cui vivono Richard e Juliette, che poi è la stessa casa in cui si consuma la tragedia, sui luoghi nebbiosi e foschi che accompagnano le loro azioni, nonché le loro follie e le loro paure, le loro angosce.

La voce della quercia è sicuramente un romanzo di stampo gotico che vuole disturbare, che vuole inquietare, attraverso l'uso di immagini forti, bizzarramente disturbanti, eppure incisive, che arrivano al cervello del lettore in maniera immediata, utilizzando la figura del bambino vittima di strani comportamenti, atteggiamenti ambigui che preoccupano non solo i suoi genitori, ma anche gli adulti del paesino in cui si trova, e poi la sua dipartita, che colpisce dritta allo stomaco.
Poi, c'è solo assenza, ma è un'assenza che pesa comunque, come se nonostante tutto Ewan sia ancora del tutto ben presente come un'ombra nella trama, anche se morto.
Questo è un libro che nonostante la vena paranormale, vuole mettere il lettore di fronte alla cruenta realtà di un lutto prematuro, di una perdita tremenda che nessuno dovrebbe e vorrebbe sperimentare, ovvero quella di un figlio.
La disperazione è ben tangibile in queste pagine, come d'altronde lo è la frustrazione di due genitori che ancora non riescono a comprendere il perché sia successa una cosa così tremenda proprio a loro; su un filo sottile che divide realtà da fantasia, questo romanzo è sicuramente capace di suscitare nel lettore quella sorta di inquietudine e stato angoscioso che si prova di fronte ad un film horror proiettato in una grande casa a luci spente, mentre ci si trova da soli sul divano.

Se cercate una parvenza di brivido, quel brividino leggero e tiepido che scivola lungo la spina dorsale dato da scene strane, indecifrabili, ma che suscitano un pensiero tipo "oddio che senso", allora questo libro fa proprio per voi.

LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂, 5 \ 🍂🍂🍂🍂🍂



 

lunedì 10 aprile 2023

Recensione "Storie di Ordinaria Follia" - Charles Bukowski

 

TRAMA

La biografia di Bukowski include due tentativi di lavorare come impiegato, dimissioni dal "posto fisso" a cinquant'anni suonati, "per non uscire di senno del tutto" e vari divorzi. Questi scarsi elementi ricorrono con insistenza nella narrativa di Bukowski, più un romanzo a disordinate puntate che non racconti a sé, dove si alternano e si mischiano a personaggi ed eventi di fantasia. "Rispetto alla tradizione letteraria americana si sente che Bukowski realizza uno scarto, ed è uno scarto significativo", ha scritto Beniamino Placido su "La Repubblica", aggiungendo: "in questa scrittura molto "letteraria", ripetitiva, sostanzialmente prevedibile, Bukowski fa irruzione con una cosa nuova. La cosa nuova è lui stesso, Charles Bukowski. Lui che ha cinquant'anni, le tasche vuote, lo stomaco devastato, il sesso perennemente in furore; lui che soffre di emorragie e di insonnia; lui che ama il vecchio Hemingway; lui che passa le giornate cercando di racimolare qualche vincita alle corse dei cavalli; lui che ci sta per salutare adesso perché ha visto una gonna sollevarsi sulle gambe di una donna, lì su quella panchina del parco. Lui, Charles Bukowski, "forse un genio, forse un barbone". "Charles Bukowski, detto gambe d'elefante, il fallito", perché questi racconti sono sempre, rigorosamente in prima persona. E in presa diretta". Un pazzo innamorato beffardo, tenero, cinico, i cui racconti scaturiscono da esperienze dure, pagate tutte di persona, senza comodi alibi sociali e senza falsi pudori.

RECENSIONE

Di Bukowski ho spesso sentito dire essere un cinico bastardo, amante sfegatato delle donne quasi in modo convulso, della sregolatezza, della vita folle, ma soprattutto un vizioso, attaccato alla bottiglia e dedito alle scommesse sui cavalli.

Ma il caro vecchio Charles è questo, ma anche molto più di questo, e io non ho potuto non intravedere oltre la coltre di ordinaria precarietà, una massiccia dose di solitudine.

In Storie di ordinaria follia, ciò che per noi è la totale perdita di inibizione nei confronti del sesso, del gioco d'azzardo, dell'abuso di alcool, per Bukowski diviene la quotidianità mescolata alla creatività.

Una sorta di trip in situazioni assurde, quasi paradossali, che vengono vissute da lui in prima persona, e che sono per lui la realtà di tutti i giorni, scanditi in modo ordinario, ma totalmente sfociati nella follia.

Bukowski ha uno stile sporco, diretto, alle volte cinico sì, ma che nasconde un significato profondo dietro ogni parola, un significato pregno di sentimento, un sentimento che il vecchio Buk vuole a tutti i costi proteggere per non apparire vulnerabile, perché, e questo traspare dalle righe dei vari racconti, la vulnerabilità a volte porta alle fregature.

E lui di fregature ne ha prese davvero tante, di qualsiasi genere, e il risultato che ne è derivato è la crescente malinconia data dall'incapacità di trovare anime affini alla sua.

È una nostalgia un po' stronza quella che Charles vuole trasmettere, nostalgia di tempi andati, dove forse le cose erano un po' migliori, nostalgia di donne che in qualche modo hanno lasciato un'impronta indelebile nella sua vita, ma che come tutti sono scomparse alle luci dell'alba come chimere e miraggi.

Nostalgia e rimpianto del vecchio sé, che non tornerà mai più, e tuttavia, nonostante tutto, viene evidenziato anche il grande amore per la scrittura e per tutto ciò che lo ispira.

Storie di gente comune, ai margini, di gente dimenticata, gettata, persone normali con una vita omologata, strette nei doveri di giornate che vengono scandite da timbri di cartellini, cene di lavoro, faccende giornaliere a cui assolvere, monotonie infinite.

Bukowski cela dietro ad uno stile maledettamente poetico una sorta di fredda tenerezza che affiora nei momenti in cui compare la figlioletta, una dolcezza sempre trattenuta, ma immensa e forse anche un po' incompresa.

In queste storie il vecchio Buk, con un mozzicone di sigaretta tra le dita di una mano e un bicchiere di whisky e ghiaccio sciolto nell'altra, la macchinetta da scrivere scassata di fronte a sé, ci racconta com'è vivere nella sua pelle, vestendo un corpo malandato, semi distrutto dallo spirito alcolico e dalla vita, completamente andato, e ci spiega a parole proprie come anche da una montagna di letame possa crescere il più bello dei narcisi. Io personalmente lo amo, lo amo da morire, nonostante il linguaggio schietto e terra terra, la volgarità cosparsa di stelle e poesia. E poi, siamo nati lo stesso giorno, sarà mica un segno del destino che sia uno dei miei autori preferiti?

LA MIA VALUTAZIONE

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lunedì 3 aprile 2023

Recensione "Blood" - The Darkness Chronicles vol. III - Gea Petrini

 
TRAMA

Un'ombra che chiamano krigger si aggira tra le strade macabre del nord, nessuno sa chi sia ma sono tempi sempre più pericolosi nel continente gettato ormai nelle tenebre. Tormentata tra quello che deve lasciarsi alle spalle e chi reclama il suo amore, Liv Lars guida l'alleanza bianca con Aron Sander, il gran maestro, e il comandante della guardia Aleksander Sander. I tre amici hanno il destino del continente tra le mani, anche se il loro rapporto sembra pronto a naufragare come il futuro delle casate. Tra i corridoi di Aspera, Freya la necromante combatte per restare al potere mentre Ingrid la beskytter, attratta da un amore proibito, si trova invischiata in nuove insidie insieme ad Alva la veggente.

Per Liv e Finn, i due fratelli del nord, e l'intero sistema della magia, si avvicina inesorabile il momento della verità.

RECENSIONE

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati nel mio blog!
Ebbene sì, ho cambiato veste alla mia pagina, perché nonostante io ami in tutto e per tutto l'Autunno, ho deciso di rendere il mio blog più semplice, con un colore che mi piace tanto, e che spero possa piacere anche a voi.
Oggi, dopo un po' di tempo, torno con una nuova recensione, tutta dedicata all'ultimo capitolo della trilogia dark fantasy di Gea Petrini, Blood, che va a concludere piuttosto dignitosamente la Darkness Chronicles.
 
Avete presente che quando si arriva ad un finale di saga o trilogia, aleggia nell'aria quella malinconia da “oddio, vorrei non finirlo mai, ma nel contempo voglio sapere”?
Ecco, con Blood è stato esattamente così.
Quando ho votato l'ultima pagina, mi sono sentita svuotata, vagamente nostalgica, perché ad alcuni personaggi mi ci sono davvero affezionata tanto.
 
Ringrazio innanzitutto l'autrice per la pazienza e per la copia cartacea (soprattutto la pazienza), ma andiamo avanti e bando alle ciance!
Se le atmosfere dei primi due libri vanno via via incupendosi sempre di più, nell'ultimo volume della trilogia troviamo ancora più oscurità, più tenebra, la classica coltre di buio che soltanto alla fine verrà infilzata dal raggio di sole della salvezza e della pace.
Gli equilibri sono ormai precari da parecchio tempo nel regno di Talamh, e attraverso i vari pov possiamo sperimentare da vicino tutto quello che sta succedendo in ogni fazione.
Dopo la prima guerra tra luce e ombra, i regnanti cercano in tutti i modi di ovviare al problema principale, ovvero la fame della popolazione, la desolazione, il terrore che i figli delle tenebre seminano lungo le strade, la presenza costante di creature orribili ed assetate di sangue che minaccia, non solo la notte, la tranquillità delle famiglie superstiti.
 
In tutto questo, ritroviamo i nostri vecchi personaggi, tra cui la maga Liv Lars, ormai dotata di poteri immensi, che tenta in tutti i modi di trasmetterli anche agli altri maghi per crescere un esercito pronto ad affrontare i gardon capitanati dal fratello Finn, il capo dei Sander, Aaron, suo vecchio amante, che si ostina a voler prendere il comando di gente che non lo riconosce come proprio comandante, la negromante Freya (che si è rivelata piuttosto viscida ed opportunista, nonché una donna che è pronta a qualsiasi cosa pur di ottenere ciò che desidera), e ancora Alexander, Ingrid, Alva, che devo ammettere mi ha fatto ricredere molto in questo libro sull'opinione che avevo di lei, e tutti gli altri protagonisti della vicenda, più i nuovi arrivati.
 
La trama è ancora una volta piuttosto complessa, ricca di intrighi, sotterfugi, complotti celati dietro a facciate di finta solidarietà, ma come sempre la scrittura di Gea ci guida attraverso tutto questo con fluida maestria e uno stile sensuale, ammaliante, che ci trascina a rotta di collo verso il finale, con la curiosità di sapere cosa accadrà e, soprattutto, chi rimarrà in vita, perché avremo anche molte perdite, alcune facili da immaginare, altre piuttosto inaspettate ed anche fulminee, che lasceranno il lettore piuttosto spiazzato.
 
Se nel secondo libro ci troviamo quasi in una situazione di stallo, dove sì succedono plot twist interessanti e cambiamenti repentini ed improvvisi anche dei personaggi stessi, ma dove comunque la situazione rimane più o meno su una linea dritta e costante, in Blood si nota da subito che qualcosa di grosso bolle in pentola.
C'è la frenesia del libro che deve chiudere una trilogia, quindi la storia si snoda in una maniera che vuole preparare il lettore alla grande battaglia finale, dove finalmente luce e tenebra si affrontano senza esclusione di colpi nell'atto che deciderà le sorti del regno.
 
Assistiamo quindi, da una parte, alla preparazione alla guerra dei maghi che stanno dalla parte del “bene” , se così vogliamo definirlo, perché alcuni risultano essere anche piuttosto moralmente grigi, e quindi alle strategie di combattimento, di azione, ma vediamo da vicino anche i loro cambiamenti caratteriali, quelli avvenuti dopo il primo scontro, mentre dall'altra parte abbiamo gli oscuri, coloro che non temono nessuno e sentono di avere la vittoria e il potere nelle loro mani, anche se nutrono loro stesso dei dubbi viscerali nei confronti di ciò che sarà il risultato finale dello scontro.
 
Molto interessante il fatto che le due fazioni siano in qualche modo capitanate da fratello e sorella; questa rivalità feroce che attraversa le fila dei guerrieri si avverte forte, il problema è che nonostante le idee diverse, nonostante la diatriba, la separazione dei due fratelli, entrambi in qualche modo, traspare soprattutto nella fine, nutrono ancora l'una nei confronti dell'altro dell'affetto, perché comunque sono cresciuti assieme sotto lo stesso tetto, e lo spettro dei ricordi è duro da annientare.
 
Ovviamente, non può mancare la sensualità, quel tocco spicy che rende la lettura piccante, senza tuttavia mai cadere nel volgare, e posso affermare tranquillamente che in questo ultimo volume Gea si è data alla pazza gioia visto che le scene di questo tipo sono in netta maggioranza rispetto agli altri due libri, ma inserite molto bene nel contesto.
 
Non voglio farvi spoiler, sappiate solo che mi è dispiaciuto lasciare andare il regno di Talamh e tutti i suoi personaggi, poiché comunque mi ci sono affezionata molto, sia a loro che al worldbuilding, al mondo che ha creato l'autrice, un universo ricco di magia, stregoneria, amicizia, dolori e perdite, amore, odio, lealtà e tantissimo altro.
Non è mai stato facile per me leggere una saga o una trilogia e poi arrivare al tanto atteso finale, non si è mai pronti ad affrontare il termine di una storia che ci ha entusiasmato e conquistato, ma posso dire che la conclusione della Darkness Chronicles è pressappoco come la immaginavo, anche se alcune cose sono rimaste ancora sospese…e mi fanno ben sperare, che ne so, magari ad uno spin-off?
Lo apprezzerei tanto!
Se siete amanti del dark fantasy che tocca vette di oscurità piuttosto notevoli, dove sangue e viscere sono all'ordine del giorno, dove rituali e sacrifici si consumano col favore delle tenebre, e dove per arrivare alla pace, seppur precaria, si deve passare per la strada più difficoltosa e mai scontata, allora Talamh vi accoglierà a braccia aperte.
 
Alla prossima recensione!
 
Chiara

LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂🍂, 5 \ 🍂🍂🍂🍂🍂

lunedì 27 marzo 2023

Mini recensione - "Luce Nera" - Ska W. Barnes


 TRAMA

La realtà può sanguinare, l’aria distorcersi e un’anima spezzarsi.

La squadra composta da Noah, Melrose e Kyle ripulisce i luoghi infestati in cui si sono svolti alcuni dei crimini più efferati degli ultimi anni. In quei teatri di oscenità, con ancora resti marcescenti e melodie dissonanti di mosche e scarafaggi, indugiano gli spettri disperati delle vittime e, a volte, anche presenze molto peggiori.
 
Durante uno di questi incarichi qualcosa va storto, le conseguenze sono devastanti, e il loro peso è tanto gravoso da stravolgere più di una vita per sempre.

RECENSIONE

"Il sangue non è soltanto un'esca, ma un tramite."

Vi siete mai domandati cosa succede nel corpo di una persona dopo essere stata posseduta? Posseduta da entità ultraterrene molto cattive e pericolose?

Non è una domanda che ci si pone tutti i giorni, ovviamente, ma dopo aver letto Luce Nera, e nel mentre, mi sono chiesta se effettivamente dopo un avvenimento del genere il corpo ne rimetta, in peggio.

In questa novella di circa 100 pagine, l'autrice utilizza uno stile di scrittura che punta sul lato sensoriale, infatti, il protagonista, Noah, dopo essere stato posseduto in seguito ad una missione di "purificazione" che sembra conclusa, ma che in realtà è finita piuttosto male, si troverà a combattere questa "cosa" che vive dentro di lui, e che gli trasmette in qualche modo tutti i suoi pensieri, i ricordi, stralci di momenti orrendi, sanguinosi, marci, frammenti di ciò che chi lo possiede ha commesso mentre era ancora in vita.

L’autrice quindi ci introduce alle sensazioni che Noah prova durante e dopo tale possessione, concentrandosi su ciò che il suo corpo avverte, come ad esempio continue fitte di dolore dovute all'intromissione di un corpo estraneo nel suo, ma soprattutto sul veleno con cui l'entità malefica contagia la sua mente.

Ma nello scorrere della vicenda, che devo dire si snoda fluidamente grazie anche alla prosa diretta e decisa dell'autrice che lascia poco spazio all'immaginazione, troviamo anche una sorta di introspezione che ci fa entrare in empatia molto facilmente con Noah, e di seguito anche con James, colui che sarà incaricato di tenerlo d'occhio, dato che gli effetti collaterali della possessione potrebbero essere imprevedibili ma pericolosi.

Quello che ho captato io in questa storia, di significato più sottile, è invece una sorta di metafora che incarna la battaglia che l'essere umano attua praticamente ogni giorno contro la sua mente.

Il saper fronteggiare i propri mostri, quelli che stanno nella nostra testa, quelli che si risvegliano quando si spegne la luce, o quando ci si ritrova da soli.

In questa storia ho trovato un mondo conturbante e controverso, un mondo oscuro, pieno di tentacoli appiccicosi, incrostati di sangue, che tengono intrappolata la mente, che partoriscono pensieri e macinano paure, una sopra l'altra.

Il convivere col post-possessione per Noah non è semplice, gli strascichi del fatto sono tangibili e reali, e sarà proprio James che come un'ancora lo terrà a galla nel mare buio in cui nuota.

Luce Nera è strano, io stessa non riesco a trovare le parole giuste per descriverlo, poiché risulta essere particolare, vagamente onirico, bizzarro, visionario, eppure a tratti ho avuto come l'impressione che ciò che il protagonista vive sia piuttosto vicino a ciò che ho vissuto io nei miei momenti bui, per questo credo che nonostante sia stato inserito l'elemento paranormale, ci sia anche una sorta di messaggio subliminale per ciò che riguarda quello che vi ho accennato poco prima, ovvero l'essere vulnerabili mentalmente.

Nonostante possa sembrare sulle prime molto crudo anche per la presenza di scene particolarmente cruente, Luce Nera è un'esplorazione profonda dei meandri umani, che ci permette di calarci nel buio della mente, un buio denso e melmoso.

Queste pagine spianano la strada ad un progetto molto più lungo e laborioso, l'autrice si è lasciata andare a qualche indiscrezione che promette uno sviluppo più approfondito per Noah e James, e io spero che arrivi presto perché secondo me, semmai diventasse libro, sarebbe un'ottima idea a livello di trama ed intreccio.

Ringrazio l'autrice per avermi fornito la copia digitale gratuita per la lettura e la fiducia.

LA MIA VALUTAZIONE

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