lunedì 29 maggio 2023

Review Party Dark Wings III - Ali Spezzate - Krisha Skies

 
TRAMA

Nel terzo capitolo del Ciclo delle Ali Oscure, il conflitto tra umani dei Paesi federati del Patto Meridionale e gli Alati di Azra prosegue senza sosta, fino all'invasione della città di Cartago, dove la giovane umana Lyan Alba si è rifugiata per combattere la Lungimiranza. Lì, durante il periodo di stallo che segue l'occupazione, ritrova diverse persone amiche, ma anche coloro da cui si stava nascondendo. Inoltre, la comparsa del Falco Nero le complica l'esistenza, costringendola a prendere una decisione dolorosa e sofferta. La sua è una lotta interiore tra istinto di sopravvivenza e abbandono alle emozioni, e la scelta che ha di fronte è difficilissima: votarsi all'amore, scendendo a patti con il male che la circonda, o fuggire da esso, destinandosi a una vita di solitudine? Il contrasto tra ciò che si vuole fare e quel che si deve fare è ingestibile: Lyan non vorrebbe vivere nei rimpianti per la rinuncia dettata da un senso di giustizia, ma neppure convivere con il rimorso per il dolore che provocherebbe agli innocenti, cedendo ai ricatti del nemico. Come se tutto questo non bastasse, si troverà a camminare sulla linea di confine tra due schieramenti di Alati: le Ali di Fuoco, a cui appartiene Azalel, il suo amore del presente, e le Ali Spezzate, che andranno a risvegliare sentimenti ormai sopiti.

RECENSIONE

"Perché di una cosa sono sicuro: se ti perdessi, io morirei con te."

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati nel mio angolo di carta ed inchiostro!
Oggi vi parlo di un finale di trilogia col botto, un volume conclusivo di una serie che ho amato sin dagli albori e che mi ha conquistata pagina dopo pagina: sto parlando di Dark Wings III - Ali Spezzate, di Krisha Skies, che ringrazio di cuore per la fiducia, assieme alla casa editrice Horti di Giano, che mi ha fornito le copie digitali in anteprima di tutti e tre i volumi.
 
Da dove posso cominciare?
Sapete perfettamente l'effetto che i finali di saga hanno su di me, e quanto io mi affezioni ai personaggi delle storie che mi sono piaciute di più, soprattutto se scritte ed argomentate bene.
Il caso di Ali Spezzate è proprio questo, una vicenda narrata in modo talmente avvincente che trascina il lettore in un vortice di emozioni contrastanti.
Non mi dilungherò più di tanto sulle scene di questo terzo ed ultimo volume, anche perché potrei inciampare il qualche spoiler, dunque mi limiterò a dirvi ciò che questa lettura mi ha trasmesso.
 
Cartago è ancora sotto assedio, le rivolte intestine animano le strade della città, Lyan Alba, la protagonista, si trova al quartiere generale delle Ali di Fuoco, assieme ad Azalel, il suo amante alato, col quale vive una storia travagliata nascosta agli occhi degli altri umani, che in qualche modo, seppur velatamente, la considerano al pari di una spia degli Alati, vista la sua propensione allo stare con uno di loro.
L'inizio di questo volume si presenta piuttosto lento, tra l'avvicendarsi della storia tra i due protagonisti e la descrizione dell'attuale situazione che aleggia sulle diverse città.
Il generale Yeratel, capo delle Ali di fuoco, è distante, e quindi i due ragazzi possono vivere il loro amore in modo “libero” , per il contesto che lo permette certo, senza temere che l'uomo metta loro i bastoni tra le ruote.
Ma l'idillio dura poco, ed è proprio quando tornerà il generale che la vicenda inizia a vivacizzarsi, e ad esporre i primi colpi di scena, colpi di scena che, vi avverto, lasceranno il lettore piuttosto basito in alcuni punti, dato che probabilmente gli indizi sui volumi precedenti c'erano sicuramente, ma risulteranno essere solo le briciole di un progetto più grande, che verrà rivelato appunto in questo terzo libro.
Veniamo a scoprire qualcosa di più sulla vita di Azalel, il controverso protagonista maschile, che assieme a Lyan, si nota avere un cambiamento radicale di personalità rispetto agli altri volumi, nonostante rimanga ancora piuttosto incomprensibile a volte, impenetrabile, e apparentemente impassibile, anche se sotto sotto cela una dolcezza e una tenerezza che disarmano.
 
Di contro, anche Lyan l'ho trovata cambiata, più caparbia, più mite di carattere ( a parte le rare esplosioni di rabbia e frustrazione), e volenterosa di far andare bene le cose tra lei e Azalel, senza doversi più nascondere dal mondo, più speranzosa, con il desiderio di costruirsi un futuro finalmente vivibile, nonostante il potere della Lungimiranza continui a tenerla sotto scacco.
 
Vi anticipo già che alcune decisioni dei nostri protagonisti vi manderanno in bestia, io stessa ho trovato faticoso alle volte entrare in empatia con Azalel mentre faceva cose o ne pensava altre, perché ritenevo stupido da parte sua un comportamento del genere, eppure non riuscirete ad odiarlo in modo viscerale, perché Azalel apparirà come un personaggio grigio, che cioè non si schiera dalla parte di nessuno, se non dalla sua e di quella della sua amata.
Vi riuscirà difficoltoso in alcuni momenti capirlo e comprenderlo, così come vi succederà la stessa cosa con Lyan e i suoi colpi di testa, ma di contro non riuscirete a fare a meno di volergli bene, di provare affetto e tenerezza, quasi pena, per lui e il suo passato, che ancora incide nel presente.
 
Se cercate lo spicy, questo libro non fa per voi, e per fortuna!, dico io, perché l' "iper eroticizzazione" di un'opera, a parere mio, sta davvero stancando, cadendo in stereotipi banali e cringe, di conseguenza se volete del buon, sano romance, lo troverete, più preponderante rispetto agli altri due volumi, in quanto l'autrice qui si concentra proprio sulla storia d'amore e il suo sviluppo, e perché no? I nostri protagonisti avranno anche dei momenti di intimità, ma descritti con talmente tanta delicatezza e dolcezza, che persino io non essendo amante del romance, ho davvero apprezzato.
 
Come sempre la penna precisa e minuziosa di Krisha non si smentisce, riconfermando uno stile pulito, descrittivo al punto giusto senza mai stancare e scivolare nel prolisso, farcito di dialoghi credibili e veritieri, non quella solfa di frasi fatte, trite e ritrite, nonché una trama sviluppata molto bene e che non si risparmia plot twist interessanti e un finale che lascia il lettore soddisfatto, dopo un'enorme lago di sofferenza, che non guasta mai.
 
Una degna conclusione per una delle saghe fantasy più coinvolgenti, toccanti e romantiche del panorama italiano.

LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂🍂, 5 \ 🍂🍂🍂🍂🍂


venerdì 12 maggio 2023

Recensione "American Serial Killers" - Peter Vronsky


TRAMA

I fan di Mindhunter e della docu-serie Dahmer divoreranno le storie agghiaccianti di questi serial killer della “Golden Age” americana, l’età dell’oro degli assassini seriali (1950-2000).

Con libri come Serial Killers, Genesi mostruose e Sons of Cain, Peter Vronsky si è affermato come il massimo esperto di storia dei serial killer. In questo primo autorevole saggio sulla “Golden Age” dei serial killer americani, gli anni in cui il numero di assassini seriali e la conta dei corpi esplosero, Vronsky racconta le storie degli omicidi più insoliti e importanti dagli anni ‘50 all’inizio del ventunesimo secolo.

American Serial Killers offre ai veri appassionati di true-crime ciò che più che desiderano, passando dalle storie degli assassini più famosi (Ed Kemper, Jeffrey Dahmer) a quelle dei casi meno noti (Melvin Rees, Harvey Glatman).

Un saggio storico e sociologico avvincente e approfondito. Perfetto per i fan del true-crime dallo stomaco forte.

RECENSIONE 

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati sul mio blog!
Torno questo Venerdì con una recensione molto particolare, di un saggio uscito proprio oggi, intitolato American Serial Killers di Peter Vronsky, per Nua edizioni, che ringrazio per la copia digitale in omaggio.
 
Partiamo dal fatto che dello stesso autore avevo già letto sempre per Nua “Genesi mostruose”, un saggio criminale e molto dettagliato sulle serial killer donne più famose della storia, nonché le più cruente.
Il paragone viene spontaneo nella lettura di questi due libri, dato che il serial killer donna tende a pianificare per bene i suoi delitti, prendendosi la sua buona dose di tempo per attuarli e poterli mettere in pratica, mentre da ciò che ho potuto appurare dal testo di cui vi parlerò oggi, il serial killer uomo si fa guidare quasi ciecamente dall'istinto, dalla pulsione irrazionale, e quindi agisce in modo molto più fulmineo, meno calcolato, più "bestiale".
 
Il saggio di Vronsky analizza passo passo ogni caratteristica, sia fisica che mentale e psicologica, che riconduce allo stereotipo tipico del serial killer, una bestia assetata di sangue che trae piacere dall'uccidere le persone, nonché quello più atipico di brav'uomo apparentemente tranquillo che conduce una vita quasi monotona tra lavoro\studio e casa, ma che nasconde in realtà una psiche danneggiata, caratterizzata da pensieri violenti e dannosi nei confronti degli altri e pulsioni che a malapena riesce a controllare, e che trovano sfogo appunto nell'omicidio.
American Serial Killers è un vero e proprio excursus negli abissi della mente umana.
È un po' come scendere lungo una scalinata ripida di cui non si vedono gli ultimi gradini, tanta è l'oscurità che la cela ai nostri occhi, e l'unica fonte luminosa è una lampadina mezza rotta sopra la nostra testa, proprio all'inizio di quella scalinata: semmai la luce si spegnesse, piomberemmo nelle tenebre più assolute e nell'angoscia totale.
 
Vronsky riesce con maestria a snocciolare ogni argomento con una sorta di padronanza orrorifica davvero impressionante, suscitando nel lettore una sensazione di ribrezzo certo, ma anche quella strana fascinazione oscura che l'essere umano nutre per le cose cupe, innominabili, blasfeme, come se in qualche modo ci mettesse di fronte al fatto che in realtà tutti hanno certi tipi di istinti, solo che qualcuno più di altri riesce ad avvalersi della facoltà dell'inibizione.
Ed è proprio questo fattore mancante, assieme ad altri di livello sociale, etnico, etico e morale, nonché fisico e psicologico, a far sì che uno strano meccanismo nel cervello del serial killer scatti come una molla ed inneschi una catena di anomalie irrazionali che sfociano in atti aberranti.
 
Nell'antichità c'era la superstizione che chi commetteva omicidi in serie fosse in realtà posseduto dal demonio o addirittura fosse esso stesso una creatura soprannaturale, un licantropo (per avere una risposta alle aggressioni più violente ed efferate si puntava a dimostrare che l'essere umano in questione fosse in realtà una bestia, un animale domato dai più bassi istinti) o un vampiro, che si eccitava nell'uccidere le sue vittime allo scopo di berne il sangue o semplicemente eccitarsi alla vista.
Molto più tardi, invece, si è giunti alla conclusione che il comune essere umano è portato all'assassinio dei suoi simili semplicemente per istinti che si orientano al piano sessuale (per la maggioranza) o perché il loro fisico lo ritiene necessario, perché si tratta di qualcosa di cui nemmeno loro hanno il controllo, e che di conseguenza diviene patologico.
 
Il profilo psicologico del serial killer è stato ed è ancora oggetto di studio soprattutto da parte di enti investigativi di una certa importanza come l'FBI, che si avvale dei famosi profiler per tracciare appunto quello che dovrebbe essere uno schizzo sulla psicologia dell'individuo assassino, e l'autore qui ci tiene particolarmente a parlare del fenomeno del Mindhunting, ossia la curiosità e la capacità di sondare la mente umana per capire cosa provochi in un uomo o una donna la necessità compulsiva di aggredire violentemente un altro essere umano, capendo se dipende da un fattore interno, e quindi fisico e biologico, o un fattore esterno, tipo la società in cui tale persona è cresciuta, e soprattutto il COME, in che contesto familiare, scolastico o lavorativo ecc.
 
Tutti questi elementi vengono affiancati quindi all'elenco dei serial killer più famosi (e non) della storia americana, e alle loro accurate biografie, che ci concentrano soprattutto sul loro modus operandi di assassini seriali nel corso degli anni in cui hanno raggiunto il culmine della loro “ carriera” di killer spietati.
Si nota perfettamente la differenza sostanziale che troviamo agli albori della comparsa dei primi omicidi seriali (a cui non si dava tutta questa importanza perché si credeva fossero casi isolati accaduti in modo fortuito nello stesso paese/zona, apparentemente senza alcun collegamento), in confronto agli anni in cui fanno la loro comparsa FBI, profiler e studiosi di criminologia: c'è un'evoluzione piuttosto corposa dell' omicida, in quanto esso stesso è il soggetto che subisce cambiamenti sociali/psicologici che influenzano il suo modo di uccidere e di scegliere le proprie vittime.

Ve lo dico subito: non è una lettura per tutti.
Mi è capitato più volte, mentre leggevo il modus operandi dei più efferati assassini, di ritrovarmi con lo stomaco vagamente ribaltato, perché non è facile leggere di storie realmente accadute in cui si consumano gli atti più osceni e deviati di cui un essere umano può essere capace, soprattutto se orientati su individui fragili ed inconsapevoli come i bambini.
Vronsky racconta in modo spietatamente dettagliato come alcuni assassini seriali preferissero trattare le loro vittime, facendo particolarmente attenzione ad evidenziare lo stato sociale e psicologico in cui questi uomini versavano, nonché alla firma che caratterizzava il delitto: quasi ogni serial killer aveva ben chiaro nella sua mente quale dovesse essere il dettaglio sulla scena del crimine che facesse dire alla polizia: “Ecco! Questo è proprio lui!".

Inutile dirvi che nell'enorme database di nomi e dati che l'autore ha deciso di elencare per discutere dei serial killer più spietati e conosciuti della storia americana, ed anche di quelli che sono passati in sordina ma non per questo sono stati meno cruenti, troviamo il nome di Jeffrey Dahmer, ribattezzato Il mostro di Milwaukee, con tendenze cannibali, necrofile e chi più ne ha più ne metta, al quale è stata anche dedicata una serie tv molto recente su Netflix che ha anche ottenuto un discreto successo, Ed Gein, colui che sembra aver ispirato il film Non aprite quella porta e Il silenzio degli innocenti, oppure l'affascinante e carismatico Ted Bundy, che conquistava col suo sorriso da bravo ragazzo, ed uccideva con una meticolosità quasi maniacale, e ancora killer di cui tutt'oggi non conosciamo la vera identità come il killer dello zodiaco o lo strangolatore di Boston, e altri assassini che hanno lasciato dietro di sé una scia di cadaveri davvero, davvero folle e sorprendente.

Questo saggio merita di trovarsi sugli scaffali degli amanti più affiatati del true crime, in quanto si presenta completo, ben farcito di informazioni, dati, fonti e documenti argomentati in modo semplice e schietto, diretto, inoltre si occupa e dedica spazio anche al profilo psicologico del serial killer come essere umano con una famiglia e una vita dietro le spalle, e quindi con un passato che ad un certo punto diviene teatro di quel qualcosa che ha fatto scattare la pulsione oscura dell'omicidio, e l'autore si addentra quindi nei meandri della mente umana per comprendere e capire assieme al lettore cosa sia andato storto in quel meccanismo che ad un tratto si blocca, cambiando la propria traiettoria.

Se non siete facilmente impressionabili, se avete lo stomaco di ferro e il cervello pronto ad assorbire i dettagli più macabri e sconvolgenti di un omicidio seriale, allora American Serial Killers deve stare assolutamente tra le vostre mani!
Esce proprio oggi, segnatevelo!

LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂🍂🍂 \ 🍂🍂🍂🍂🍂

martedì 2 maggio 2023

Recensione "La voce della quercia" - Andrew Michael Hurley

 
TRAMA

Richard e Juliette devono affrontare il dolore più grande che due genitori possano provare: la morte improvvisa di Ewan, cinque anni. Starve Acre, la loro casa al confine con la brughiera, da cuore di una nuova famiglia è diventata un nodo di dolorosi ricordi. Juliette è convinta che Ewan sia ancora con loro, in qualche forma, e cerca l’aiuto di un gruppo di occultisti per parlare con lui. Richard invece si concentra sul campo di fronte a casa, il campo dove Ewan amava giocare da solo, e avvia gli scavi alla ricerca dei resti di una quercia antica e maledetta. Che nesso c’è fra il passato remoto di quel luogo, teatro di forme di sommaria e brutale giustizia, la strana malattia che si è portata via Ewan, e la sua propensione alla violenza? La terra rivoltata darà forse le sue risposte, ma non saranno quelle che ci si aspetta. Una storia gotica, che viaggia tra leggende locali e un presente attraversato dall’orrore, con un finale da mozzare il fiato.

RECENSIONE

Buongiorno lettori e benvenuti o bentornati alla Biblioteca Stregata!
Oggi mi prendo qualche minuto per parlarvi di un libro assai particolare, disturbante a tratti oserei dire, ma anche vagamente malinconico e d'impronta gotica.
Non farò spoiler, ovviamente, anche perché dopo una prima lettura non si comprende molto bene il finale, che, ve lo anticipo, rimane tutt'ora nebuloso anche per me, nonostante sia davvero una conclusione che lascia a bocca aperta, tanto è inaspettata e...bizzarra?

Il titolo di questo libro di circa 250 pagine è La voce della Quercia, di Andrew Michael Hurley, ed è edito Bompiani.
La vicenda si snoda attorno alla storia di Richard e Juliette, una normalissima coppia di marito e moglie, che si trasferisce in un vecchio maniero nella brughiera inglese, ereditato dal padre di Richard, dove aleggiano strane leggende vagamente inquietanti su un'antica quercia che nemmeno sembra esistere.
Per questi motivi, e per tanti altri, Richard è restìo ad abitare la vecchia casa di famiglia, ma Juliette riesce a convincerlo, ed insieme al figlioletto Ewan, vi si trasferiscono, entrando così a far parte di una piccola comunità dove tutti conoscono tutti, e dove le giornate sembrano trascorrere al lento scandire della stagione invernale.

Quello che capita alla coppia di sposini in seguito, è una tragedia tremenda: il piccolo Ewan diviene vittima di una malattia che lo condurrà inevitabilmente verso la morte, facendo catapultare il lettore in una sorta di bolla statica e grigia in cui come tematica predominante ci saranno il lutto e la complicata elaborazione di esso.
Secondo la psicologia, l'elaborazione del lutto viene divisa sostanzialmente in cinque fasi principali, ovvero il rifiuto, la negazione del fatto che sia successo veramente e quindi l'incapacità di "digerire" ciò che è accaduto, la rabbia, associata spesso ad un senso di colpa alle volte ingiustificato, il patteggiamento, una sorta di stasi momentanea in cui chi ha subìto il lutto tenta di riprendere in mano la propria vita, vegetando in una specie di finta bolla di normalità, la depressione, cioè la fase in cui ci si rende conto effettivamente che la persona persa non tornerà più e piano piano si inizia ad elaborare tale evenienza, fino ad arrivare alla quinta ed ultima fase, ovvero l'accettazione, quel momento in cui il ricordo e il dolore del lutto rimangono in qualche modo latenti, ma non sono più d'ostacolo al normale svolgimento della vita quotidiana.

Ecco, mentre Richard è già a "buon punto" nella fase depressiva, e cerca di riprendere in mano le redini della propria esistenza post-lutto, iniziando di nuovo a lavorare e tentando di trovarsi dei nuovi hobby che lo aiutino a non rimuginare su ciò che gli è successo, Juliette sembra cristallizzata sulla prima fase, quella del rifiuto.
La donna non accetta che il figlioletto sia morto, e anzi, crede che il piccoletto sia ancora ben presente tra le mura dell'enorme maniero in cui vive, e che stia cercando in qualche modo di mettersi in contatto con lei, di conseguenza si affiderà ad un gruppo di occultisti per tentare di capire se Ewan sia ancora lì  anche dopo la morte.

Dalle prime pagine sembra di essere al cospetto di una lettura "normale", dove a parte qualche accenno al folklore e alle leggende locali che vorrebbero al centro di vicende nefaste una vecchia quercia di cui rimangono solo le radici annerite, di "paranormale" non troviamo nulla, se non la routine straziante di una coppia che ha perso il proprio, unico figlio, anche se si nota nell'aria una vena vagamente inquietante, quel nonsoche cupo e scabroso che un po' ci fa rizzare i peli sulla nuca, senza tuttavia dire o mostrare esplicitamente ciò che in qualche modo "infesta" le vite dei protagonisti (sicuramente un punto a favore va al comportamento anomalo del figlioletto, che lascia presagire ciò che succederà o potrebbe succedere in seguito).

È proprio dalla metà in poi che scatta qualcosa, un meccanismo oscuro che rende la vicenda più veloce, più precipitosa, più mozzafiato, con un'impronta più soprannaturale ed anche vagamente weird, per la presenza di scene al limite del bizzarro e del paradossale, finché non si arriva come dopo una corsa forsennata, alla fine, che di chiaro ha ben poco, ma che nonostante tutto mi ha lasciata di stucco.
Di stucco perché di fatto non ho capito bene cosa sia successo, e ancora continuo a non capirlo, dato che sembra quasi che l'autore abbia voluto concludere così la storia in modo da lasciare al proprio lettore una sua personale libera interpretazione.
Ammetto che questi finali nebulosi mi irritano, non tanto perché lasciano chi legge con la testa piena di domande e dubbi, quanto perché mandano in fumo l'intera trama, riducendola ad un ammasso di scene che alla fine non sono servite a nulla.
Perché scrivere un libro di un certo tipo se poi lo finisci con un cliffhanger che annulla qualsiasi teoria che il lettore si è creato all'inizio, teoria che tu hai contribuito a far creare attraverso l'utilizzo di alcune informazioni precise?
Ad ogni modo, non mi sento di bocciare del tutto questa lettura, perché se tolgo il finale, il resto mi ha intrattenuta in modo costante e crescente, lo stile dell'autore è asciutto ed essenziale, e questo forse è un punto di forza che permette a chi legge di non annoiarsi e anzi, di aver voglia di procedere per vedere dove la vicenda andrà a parare.

I personaggi sono delineati abbastanza bene, anche se l'autore si è concentrato maggiormente su ciò che l'ambiente circostante trasmette, sul voler evidenziare quanto sia cupa e macabra la casa in cui vivono Richard e Juliette, che poi è la stessa casa in cui si consuma la tragedia, sui luoghi nebbiosi e foschi che accompagnano le loro azioni, nonché le loro follie e le loro paure, le loro angosce.

La voce della quercia è sicuramente un romanzo di stampo gotico che vuole disturbare, che vuole inquietare, attraverso l'uso di immagini forti, bizzarramente disturbanti, eppure incisive, che arrivano al cervello del lettore in maniera immediata, utilizzando la figura del bambino vittima di strani comportamenti, atteggiamenti ambigui che preoccupano non solo i suoi genitori, ma anche gli adulti del paesino in cui si trova, e poi la sua dipartita, che colpisce dritta allo stomaco.
Poi, c'è solo assenza, ma è un'assenza che pesa comunque, come se nonostante tutto Ewan sia ancora del tutto ben presente come un'ombra nella trama, anche se morto.
Questo è un libro che nonostante la vena paranormale, vuole mettere il lettore di fronte alla cruenta realtà di un lutto prematuro, di una perdita tremenda che nessuno dovrebbe e vorrebbe sperimentare, ovvero quella di un figlio.
La disperazione è ben tangibile in queste pagine, come d'altronde lo è la frustrazione di due genitori che ancora non riescono a comprendere il perché sia successa una cosa così tremenda proprio a loro; su un filo sottile che divide realtà da fantasia, questo romanzo è sicuramente capace di suscitare nel lettore quella sorta di inquietudine e stato angoscioso che si prova di fronte ad un film horror proiettato in una grande casa a luci spente, mentre ci si trova da soli sul divano.

Se cercate una parvenza di brivido, quel brividino leggero e tiepido che scivola lungo la spina dorsale dato da scene strane, indecifrabili, ma che suscitano un pensiero tipo "oddio che senso", allora questo libro fa proprio per voi.

LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂, 5 \ 🍂🍂🍂🍂🍂