mercoledì 24 febbraio 2021

Recensione "Io, Tituba strega nera di Salem" - Maryse Condé

TRAMA

Nel 1692 la comunità puritana di Salem, nel New England, fu lacerata da uno dei più famigerati processi per stregoneria della storia. Le accuse, gli interrogatori, le torture e le condanne che seguirono coinvolsero più di centocinquanta persone e culminarono nella condanna a morte di diciannove imputati, in maggioranza donne. La nera Tituba, schiava di origine caraibica di proprietà del Reverendo Parris, fu accusata di istigare le donne e le fanciulle bianche alla stregoneria e ai commerci con il Maligno; la giovane schiava veniva dalle piantagioni delle Antille, e il romanzo a lei ispirato si apre sul luogo della sua nascita, l’isola di Barbada. Tituba è figlia di una donna nera violentata da un marinaio bianco durante la traversata oceanica e, nel corso delle peripezie che sconvolgono la sua vita fin dall’infanzia, viene iniziata ai riti e alla magia da Man Yaya, una vecchia curatrice africana. Da allora, Tituba ricorrerà spesso ai sortilegi e ai contatti con gli spiriti della sua tradizione, per reagire al disprezzo e ai soprusi dei bianchi: tutto il romanzo è così percorso da un’atmosfera di magia e sensualità, ma al tempo stesso è fondato sulla sanguinaria realtà della schiavitù nelle colonie del Nuovo Mondo, delle rivolte di schiavi e della "caccia alle streghe" del Seicento.

RECENSIONE

Buongiorno lettori e bentornati nel mio angolino di carta ed inchiostro!
Oggi vi parlo di una rilettura, cosa che fino a poco tempo fa credevo impossibile fare, dato che le riletture non fanno per me, perché credo facciano scemare in fretta l'interesse del libro dato che l'abbiamo già letto e si sa già come andrà a finire e come si svilupperà la storia.
Ma con Tituba è stato tutto diverso e, per certi versi, anche commovente più della prima volta.

La storia di Tituba è una storia difficile, scalfita da molta sofferenza e scelte continuamente sbagliate, ma anche da una volontà di vivere ferrea come ce l'hanno davvero poche persone.
Questa non sarà una recensione, perché non mi permetterei mai di recensire un libro di alto livello come questo, non me la sento proprio, non ne ho la competenza, ma proverò a dirvi ciò che mi ha trasmesso e ciò che invece quando lo lessi molto tempo fa mi è sfuggito come acqua tra le dita, perché rileggere alcune cose a ventotto anni è ben diverso dal farlo quando ne hai solo quattordici e il mondo ti sembra ancora vagamente un posto accettabile.

Tituba è ancora una ragazzina quando è costretta a scontrarsi con una realtà orribile e spietata, che è quella della schiavitù delle persone come lei, di colore, costrette ad essere "acquistate" come oggetti dai proprietari delle piantagioni delle Antille, trattate peggio degli animali ed escluse solamente per la colpa di una pelle più scura e di usanze differenti da una religione ed uno stile di vita puritani, tipici del Diciassettesimo secolo.
Sbalzata da una parte all'altra delle Americhe, Tituba conoscerà moltissime persone, poche solidali con lei, non immaginatevi una storia in cui la protagonista scalfita dai pregiudizi e dal razzismo dei bianchi viene compatita, anzi, attendetevi una vicenda in cui pochissimi saranno coloro che la prenderanno in simpatia, e che il più delle volte saranno anche coloro che la tradiranno in modo piuttosto subdolo.

L'ambientazione è costruita in modo magistrale dalla Condé che ha uno stile di narrazione magnetico, incalzante e poetico, dai toni esotici tipici dei luoghi da cui ha origine Tituba, luoghi caldi, dai colori vivaci e dalla spiccata fertilità, in cui crescono piante e fiori adatti agli usi magici che lei, strega iniziata da Man Yaya, una curatrice africana, non esita ad usare per i suoi rituali esoterici, rituali che la comunità dei bianchi non vede di buon occhio, collegandoli istantaneamente alla figura di Satana.

Tituba vive nella sua capanna ai margini di una piantagione, libera dalle costrizioni della supremazia bianca, ed è ancora una bambina senza la mamma, impiccata con la colpa di essersi difesa da un uomo che voleva usarle violenza. Impiccata per aver impedito ad un bianco, con una coltellata, di violarla per la seconda volta, dopo che la prima il frutto dello stupro si è incarnato in una figlia che non ha mai desiderato.
Ci troviamo in un'epoca, infatti, in cui le schiave delle piantagioni subiscono abusi di ogni tipo che non vengono mai considerati, perché perpetrati nei confronti di una "razza" che non è lontanamente paragonabile a quella bianca e che viene considerata inferiore, spazzatura.

La libertà della splendida Tituba, che vive in pace nella natura e che comunica quotidianamente con i suoi cari morti, quelli che lei chiama "gli invisibili" , ogni volta che il sole tramonta lasciando il posto alla buia notte, viene turbata dall'arrivo di uno schiavo nero giovane e prestante di nome John Indian.

"I morti muoiono solo se muoiono nei nostri cuori. Vivono se li amiamo teneramente, se onoriamo la loro memoria, se posiamo sulle loro tombe le pietanze che preferivano da vivi, se a intervalli regolari ci raccogliamo per ricordarci insieme di loro."


Nella vita di Tituba gli uomini saranno la fonte principale dei propri problemi.
John Indian è uno schiavo che si adopera per piacere assolutamente ai suoi padroni, una personalità che al giorno d'oggi etichetteremmo come "lecchina" , ruffiana, accondiscendente, per mantenere il proprio stile di vita al di sopra della media degli altri schiavi, per avere soprattutto salva la pelle nel momento in cui la coppia verrà "comprata" dal rigido reverendo Samuel Parris che la condurrà nella grigia cittadina di Salem, teatro di una delle più efferate cacce alle streghe del periodo in cui l'eresia veniva condannata e risolta con la pena di morte, dopo spesso estenuanti sedute di tortura.

Passiamo quindi da un'ambientazione colorata, calda, dove la schiavitù diventa normalità e quindi viene vissuta come tale e dove esistono anche i momenti di collettività tra persone dello stesso colore, in cui si danza e si canta, lasciandosi andare a momenti di euforia e vivacità, ad una cittadina dalla mentalità chiusa, puritana, grigia, monotona e fredda, dove il Diavolo sembra aver piantato il suo seme.
Ed è stato proprio questo il pezzo di storia con cui mi sono sentita più affine sia quando lo lessi molto tempo fa, che in questi giorni, nonostante siano passati più di dieci anni.
La caccia alle streghe di Salem è stato un avvenimento che ha macchiato la storia del diciassettesimo secolo in modo indelebile, il risultato di una psicosi collettiva frutto di una radicata ignoranza che ha portato alla condanna e alla morte di numerose persone del villaggio, in maggioranza donne.
Tituba si trova quindi contro la sua volontà, invischiata in una vicenda sanguinosa che la coinvolgerà a tutto tondo, marchiandola per sempre come strega di fronte alla comunità di Salem, la stessa che non l'ha mai accolta e che aveva solo bisogno di un pretesto per accusarla.
Tituba ha la pelle nera. Tituba non si vuole prostrare di fronte ad un solo Dio. Tituba comunica coi morti e guarisce i vivi da malattie terribili. Tituba è una strega, è una donna, e va condannata.
Tituba non desidera piegarsi alle regole della supremazia bianca. 
Tituba è una donna dall'animo moderno trapiantata in un'epoca ancora acerba che non si è preparata abbastanza per quelle come lei e che di conseguenza non l'accetta.
Tituba è innamorata dell'amore e forse è una di quelle cose che la porterà a compiere le scelte sbagliate che la condurranno verso i momenti più bui della propria vita.

"Tituba, tu non pensi che essere donna sia una maledizione?"


La Condé illustra per filo e per segno la vicenda che ha sporcato la storia del Massachussets, arricchendola quel poco che basta a romanzarla e a renderla quasi una visione onirica che tende all'incubo, ma ci racconta anche la vita arresa di coloro che venivano strappati dalla loro terra per essere impiegati nel duro lavoro delle piantagioni, privati dell'identità e della dignità.
Racconta la storia di donne stuprate costrette a guardare negli occhi il frutto di quell'orrendo avvenimento giorno dopo giorno, di donne che anche se non di colore, come la povera moglie del pastore Parris, costrette a vivere nella rigidità di una società che le vuole posate, sottomesse all'uomo, private della capacità di ribellarsi o solo di esprimere una propria opinione.
Possiamo quindi dire che Tituba è una delle prime femministe della storia?
Una delle prime che vuole sconfiggere ed abbattere i muri di pregiudizi che la rinchiudono? 
Che si rifiuta di abbassare la testa di fronte agli uomini e alle donne bianche? 
Che non accetta che il suo bimbo venga al mondo in un mondo pieno di crudeltà e sceglie così di non farlo nascere?

Sicuramente questa storia non mancherà di commuovervi.
La consapevolezza che quello che andremo a leggere sia un collage di fatti realmente accaduti ci spinge ad entrare subito in empatia con la nostra Tituba, a piangere con lei nei momenti di maggiore sconforto, a provare sensazioni splendide quando condividerà il letto con gli uomini che ha amato nel corso della sua vita, chi più chi meno, a struggerci quando verrà marchiata come strega e giudicata e torturata ed uccisa moralmente.
L'autrice riesce col suo stile di scrittura delicato e poetico a descrivere anche le scene più cruente ed orrende della vita di Tituba, donandole memoria, ricordandola come una donna indipendente, forse un po' ingenua, ma forte delle sue idee e delle sue convinzioni, legata alla sua terra natìa e sempre nostalgica, legata alle tradizioni e ai suoi antenati, sempre accanto a lei, animata da una spiritualità calda e seducente, rassicurante.

Tituba è in ognuna di noi.


LA MIA VALUTAZIONE

🍂🍂🍂🍂🍂 \ 🍂🍂🍂🍂🍂





 





2 commenti:

  1. Ho messo questo libro in Wish list dalla prima volta che ne hai parlato e ho avuto la conferma che devo assolutamente leggerlo 💕

    RispondiElimina
  2. Davvero interessante questo titolo, non lo conoscevo! Cercherò di recuperarlo sicuramente, credo faccia proprio al caso mio :)

    RispondiElimina